Page 11 - Marzo-2021
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Vita Ciociara                                                 pagina  11






           Cosette di casa nostra



           Racconti ed aneddoti dalla tradizione popolare di Pescosolido

                                                                                  di Ottavio Cicchinellii
        Il tavolino grosso



       È bello vedere la famiglia che all’ora  ché il sentiero era stretto, tortuoso e  Prese un martello e, aiutandosi con
       di pranzo si siede attorno a un tavolo  dissestato. Però alla fine il tavolino ar-  uno scalpello, schiodò le fasce al ta-
       e consuma i prodotti che il buon Dio  rivò al Colle Cupo.                    volino, schiodò le gambe e separò
       fa crescere sulla terra. Stando in-    Qui si presentò un altro problema:  così il piano da tutto il resto; quindi,
       sieme, i commensali si conoscono  come introdurlo nella casa? Il tavolino  separatamente, introdusse i pezzi
       meglio e migliorano i loro rapporti  era troppo lungo per farlo passare nel  nella stanza e li riassemblò, camuf-
       (consolidando gli affetti, il senso di re-  corridoio e quindi nella cucina (che  fando i segni dello smembramento
       sponsabilità, lo spirito di collabora-  era anche camera da pranzo); era  con un po’ di stucco e un po’ di ver-
       zione ecc. ecc.).                      troppo largo per farlo entrare per la fi-  nice a colore. Una volta ricomposto, il
       Anche Liberato (che abitava al Colle  nestra (che era troppo stretta e troppo  tavolino cominciò a troneggiare al
       Cupo e faceva il colono a gnóre Ge-    bassa). Allora si fermarono tutti (torno  centro della stanza e, soprattutto, co-
       sèppe) avrebbe voluto riunire la sua  torno al tavolino), perplessi e pensie-  minciò ad assolvere, molto egregia-
       famiglia attorno ad un tavolo; ma non  rosi, e, di tanto in tanto, si interroga-  mente, il compito che gli era stato
       poteva, poiché aveva un tavolo troppo  vano     mentalmente.       Liberato  assegnato.
       piccolo. Allora andò a Santa Maria, si  guardava Ginotto e diceva (mental-   All’ora stabilita la famiglia arrivava, si
       presentò al falegname e disse:         mente):                               sedeva torno torno e pranzava in gra-
       - Ginò, a me serve un tavolino. Ma  - I mó? Te velìsse pure fa pajà? Se  zia di Dio, conversando, ridendo e
       deve essere abbastanza grosso.         glie taveline nenn’éntra a casa mia,  scherzando garbatamente. Liberato
       - Di che misura?                       manche te paghe.                      osservava la scena e godeva tanto in
       - Tre metri per due.                           Ginotto guardava Liberato e gli  cuor suo.
       - Eeeh, ma è troppo grosso.            rispondeva (sempre mentalmente):      Ma il godimento durò poco, poiché
       - No no. Deve essere così, poiché (tu  - I mó tu velìsse fa storie pe nen pa-  dopo qualche anno iniziò la diaspora:
       lo sai) la mia famiglia è molto nume-  gàreme? Glie taveline glie sié velute  chi si sposò e andò via, chi emigrò,
       rosa.                                  tu assescì. Mó m’ha’ da pagà.         chi morì… E Liberato rimase solo con
       - Va bene, allora. – concluse Ginotto.          I trasportatori guardavano il ta-  la sua Santuccia. Di tanto in tanto ri-
       E, anche se poco convinto, si mise al  volino e dicevano (anch’essi mental-  guardava quel tavolino e, trovandolo
       lavoro (ma prima dovette fare un bel  mente):                                così grosso e inutilizzato, quasi quasi
       po’ di spazio nella sua bottega, scan-  - I mó ste taveline che fine tè fa? Nen-  rimpiangeva i tempi della miseria,
       sando il banco di lavoro, le tavole, gli  n’è ca glie tenéma repertà a Santa  quando almeno la famiglia era unita.
       attrezzi e altri oggetti che si trovavano  Maria?...
       nel locale).                           Passò un certo tempo. Alla fine pensò   ottavio.cicchinelli@vitaciociara.it
       Dopo tre giorni il tavolino era pronto.  Ginotto a risolvere la questione.
       Ma sorse il primo problema: come tra-
       sportarlo al Colle Cupo? Impossibile
       pensare ad un asino (il tavolino era
       troppo grosso per reggersi sulla
       schiena della bestia). Impossibile
       pensare ad una donna (il tavolino era
       troppo pesante per portarlo sulla
       testa). Impossibile pensare ad un
       carro (la strada, per un buon tratto,
       non era rotabile). Allora si ripiegò sul
       trasporto a mano.
       Arrivarono quattro giovani nerboruti,
       presero il tavolino ai quattro angoli, lo
       sollevarono e partirono. Fino a Chia-
       renzo andarono benissimo, poiché la
       strada era larga e spianata; ma dopo
       Chiarenzo cominciarono i guai, poi-
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