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Vita Ciociara pagina 11
Cosette di casa nostra
Racconti ed aneddoti dalla tradizione popolare di Pescosolido
di Ottavio Cicchinellii
Il tavolino grosso
È bello vedere la famiglia che all’ora ché il sentiero era stretto, tortuoso e Prese un martello e, aiutandosi con
di pranzo si siede attorno a un tavolo dissestato. Però alla fine il tavolino ar- uno scalpello, schiodò le fasce al ta-
e consuma i prodotti che il buon Dio rivò al Colle Cupo. volino, schiodò le gambe e separò
fa crescere sulla terra. Stando in- Qui si presentò un altro problema: così il piano da tutto il resto; quindi,
sieme, i commensali si conoscono come introdurlo nella casa? Il tavolino separatamente, introdusse i pezzi
meglio e migliorano i loro rapporti era troppo lungo per farlo passare nel nella stanza e li riassemblò, camuf-
(consolidando gli affetti, il senso di re- corridoio e quindi nella cucina (che fando i segni dello smembramento
sponsabilità, lo spirito di collabora- era anche camera da pranzo); era con un po’ di stucco e un po’ di ver-
zione ecc. ecc.). troppo largo per farlo entrare per la fi- nice a colore. Una volta ricomposto, il
Anche Liberato (che abitava al Colle nestra (che era troppo stretta e troppo tavolino cominciò a troneggiare al
Cupo e faceva il colono a gnóre Ge- bassa). Allora si fermarono tutti (torno centro della stanza e, soprattutto, co-
sèppe) avrebbe voluto riunire la sua torno al tavolino), perplessi e pensie- minciò ad assolvere, molto egregia-
famiglia attorno ad un tavolo; ma non rosi, e, di tanto in tanto, si interroga- mente, il compito che gli era stato
poteva, poiché aveva un tavolo troppo vano mentalmente. Liberato assegnato.
piccolo. Allora andò a Santa Maria, si guardava Ginotto e diceva (mental- All’ora stabilita la famiglia arrivava, si
presentò al falegname e disse: mente): sedeva torno torno e pranzava in gra-
- Ginò, a me serve un tavolino. Ma - I mó? Te velìsse pure fa pajà? Se zia di Dio, conversando, ridendo e
deve essere abbastanza grosso. glie taveline nenn’éntra a casa mia, scherzando garbatamente. Liberato
- Di che misura? manche te paghe. osservava la scena e godeva tanto in
- Tre metri per due. Ginotto guardava Liberato e gli cuor suo.
- Eeeh, ma è troppo grosso. rispondeva (sempre mentalmente): Ma il godimento durò poco, poiché
- No no. Deve essere così, poiché (tu - I mó tu velìsse fa storie pe nen pa- dopo qualche anno iniziò la diaspora:
lo sai) la mia famiglia è molto nume- gàreme? Glie taveline glie sié velute chi si sposò e andò via, chi emigrò,
rosa. tu assescì. Mó m’ha’ da pagà. chi morì… E Liberato rimase solo con
- Va bene, allora. – concluse Ginotto. I trasportatori guardavano il ta- la sua Santuccia. Di tanto in tanto ri-
E, anche se poco convinto, si mise al volino e dicevano (anch’essi mental- guardava quel tavolino e, trovandolo
lavoro (ma prima dovette fare un bel mente): così grosso e inutilizzato, quasi quasi
po’ di spazio nella sua bottega, scan- - I mó ste taveline che fine tè fa? Nen- rimpiangeva i tempi della miseria,
sando il banco di lavoro, le tavole, gli n’è ca glie tenéma repertà a Santa quando almeno la famiglia era unita.
attrezzi e altri oggetti che si trovavano Maria?...
nel locale). Passò un certo tempo. Alla fine pensò ottavio.cicchinelli@vitaciociara.it
Dopo tre giorni il tavolino era pronto. Ginotto a risolvere la questione.
Ma sorse il primo problema: come tra-
sportarlo al Colle Cupo? Impossibile
pensare ad un asino (il tavolino era
troppo grosso per reggersi sulla
schiena della bestia). Impossibile
pensare ad una donna (il tavolino era
troppo pesante per portarlo sulla
testa). Impossibile pensare ad un
carro (la strada, per un buon tratto,
non era rotabile). Allora si ripiegò sul
trasporto a mano.
Arrivarono quattro giovani nerboruti,
presero il tavolino ai quattro angoli, lo
sollevarono e partirono. Fino a Chia-
renzo andarono benissimo, poiché la
strada era larga e spianata; ma dopo
Chiarenzo cominciarono i guai, poi-