Page 19 - Maggio-2022
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Vita Ciociara                                                  pagina 19




       vano peccato molto, avevano ucciso, rubato, di-
       strutto… Ma ora bisognava ritrovare la via smar-
       rita, bisognava pentirsi, pregare Dio, fare opera
       di penitenza e, soprattutto, bisognava fare opera
       di carità: chi aveva qualcosa, la spartisse con chi
       non aveva nulla. “Ora potete tornarvene a casa.
       E ricordatevi di mettere in pratica l’insegnamento
       ricevuto.” dissero a conclusione del messaggio.
       Quelle andarono e, per mettere in pratica l’inse-
       gnamento ricevuto, tornarono subito, portando
       chi un pezzo di pane, chi un paio di uova, chi una
       formetta di cacio, chi una bottiglia d’olio, chi un
       sacchetto di patate... e l’offrirono ai forestieri, i
       quali accettarono ben volentieri, poiché la carità,
       se va fatta, va anche accettata.
       La sera i tre ricominciarono il santo rosario. Le
       donne anziane tornarono e ad esse si aggiun-
       sero anche quelle più giovani. Recitato il rosario,
       i tre, a turno, tennero il sermone: la preghiera…
       la confessione… i Sacramenti… la messa do-
       menicale... Poi cominciarono a confessare, lì
       sulla piazzetta, chi in un angolo, chi in un altro.
       Quando fu il turno di Peppina, “Che peccato hai
       fatto?” domandò il confessore. “Eh, ... so’ jaste-
       mate, so’ ’rrebbate du’ pemmetòre alla chem-
       mare; vennardì, ch’era dejune, me so’ magnata
       ’na saceccélla ca me tenéva fame...” “Eh, eh, eh!
       Queste cose non si fanno. Per guadagnare la
       vita eterna, bisogna fare qualche sacrificio, biso-
       gna vivere in grazia di Dio, bisogna soffrire in si-
       lenzio...” “I cómme facc’ie, peverèlla? Ce sta
       chiglie diavere ’e marìteme che me fa ’nquastì
       cómm’a ché: se ’mbriàca, jastéma, me da le
       bòtte...” “Eh, ma questo è una belva!” “Oh,
       mamma! I cómme fè tu a sapélle?” esclamò Pep-
       pina spaventata, poiché il marito lo chiamavano
       veramente “la belva”, e se ne andò a raccontare
       l’accaduto alle vicine: “Éééh! iate, iate! iàtev’a
       chenfessà, ca chiglie sève tutte de nuie!” Tutte
       andarono. E, per amore verso Dio e carità verso
       gli uomini, offrivano pane, polli, olio, verdura,
       frutta, vino... Quelli recitavano il rosario, predi-
       cavano, confessavano e ricevevano i doni in
       onore delle anime del Purgatorio e di tutti i santi
       del Paradiso. Però sparirono dopo pochi giorni,
       senza dire niente a nessuno. La loro santità
       stava varcando i confini delle due contrade, con
       il rischio di essere scoperti per quello che erano
       effettivamente: tre poveri diavoli che, per sbar-
       care il lunario, s’erano spacciati per missionari.
       Per quella volta.

                       ottavio.cicchinelli@vitaciociara.it
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