L’anniversario deI terribile terremoto

Oggi 13 Gennaio ricorre l’anniversario del terremoto del 1915. Il sisma avvenne di mattina, alle 7,50 (o alcuni minuti dopo, secondo alcuni). La terra tremò violentemente e dovunque fu distruzione e morte. Avezzano venne rasa al suolo (si salvò solo una casa, ancora oggi esistente): 10.700 le vittime (su una popolazione di 13.000 abitanti). Anche Sora subì danni gravissimi e pianse 245 morti. Crolli rovinosi e morti si ebbero anche a Isola del Liri, Castelliri, Pescosolido, Balsorano, Morino, Canistro e, in misura maggiore, a Magliano dei Marsi, Lecce dei Marsi, Massa d’Albe, Ortucchio, Collarmele, Celano, Gioia dei Marsi, Pescina… A Sora, in particolare, crollò la chiesa di Santa Restituta, seppellendo una quindicina di persone che, a differenza di altre, non erano riuscite a correre all’aperto nonché alcune “erbaiole” che, nell’adiacente Orto dei Santi, stavano vendendo la verdura; crollò il palazzo Rossi in via XX Settembre, seppellendo intere famiglie e un ventina di operai intenti a lavorare in una falegnameria; crollò il monastero di Santa Chiara (in via Firmio), uccidendo il sacerdote che stava celebrando la messa e sette delle otto suore presenti (una si salvò perché, per fare la comunione, s’era spostata leggermente in avanti); crollò il palazzo della stazione ferroviaria, crollò l’ospedale civile (che era stato costruito pochi anni prima in via Napoli, là dove ora si trova la Banca di Roma)… Il sisma fu di magnitudo 7,0, durò 30 secondi, ebbe carattere sussultorio e ondulatorio. Ma non giunse inatteso. Segni premonitori s’erano avuti fin dal precedente mese di Ottobre, nella zona di Isernia, dove la terra s’era messa a tremare ripetutamente. La mattina del 13 Gennaio, poi, il cielo si mostrò abbastanza strano: era “livido, plumbeo, con riflessi d’acciaio”. Ma nessuno se ne preoccupò. Sicché il sisma colse tutti di sorpresa. Molti fuggirono precipitosamente all’aperto. Ma molti altri o non poterono o non ebbero il tempo per fuggire e rimasero sepolti dalle macerie. Mentre un vento gelido spirava implacabile e la neve, fino a bassa quota, ammantava i monti circostanti. Quanti furono i morti? Forse 30 mila. O forse 33 mila (stando ad una fonte autorevole), poiché a coloro che morirono sotto le macerie si aggiunsero quelli che morirono in seguito, per le ferite riportate nei crolli o per le infezioni bronco-polmonari contratte al freddo e all’umidità che bisognò sopportare all’aria aperta o nei ricoveri improvvisati. Il sisma non si esaurì nella mattinata del 13 Gennaio, ma si ripeté di frequente per oltre un anno, rinnovando la paura negli scampati e facendo crollare muri ed edifici rimasti in piedi. E non mancarono fenomeni strani: a Rendinara si spaccò una montagna; sul monte Velino si aprì un crepaccio che, tra la neve, somigliava ad un occhio nero che guardava torvamente; nel cimitero di Sora la terra si aprì in più punti e dalle crepe si levavano “larghe volute” di “vapori bianchicci ed acri, con forte sentore di zolfo” alternati a “zamnpilli di acqua sulfurea bollentissima” (scrisse un giornalista bene informato). Il lago di Fucino, poi, sembrava volesse riformarsi, complice una statua della Madonna che, caduta dal piedistallo, aveva semiostruito l’incile. “Se questi segni hanno un senso, di sicuro avremo qualche disgrazia più grande e definitiva, cioè la fine del mondo” conclusero i soliti uccelli del malaugurio (che non mancano mai nelle situazioni più difficili). Ma intanto il buon senso e la solidarietà del popolo italiano producevano effetti concreti. Dovunque fu un fiorire di associazioni e comitati spontanei che, unitamente a testate giornalistiche, enti pubblici e singoli cittadini, organizzarono sottoscrizioni, rappresentazioni teatrali, conferenze, “passeggiate di beneficenza” ed altre iniziative per raccogliere viveri, medicinali, indumenti, tende, baracche prefabbricate o legname per costruirne altre, somme di denaro e quant’altro facesse al caso, che poi portavano e distribuivano nelle zone disastrate. Squadre di volontari (studenti specialmente), soldati, pompieri, carabinieri, poliziotti, operatori della Croce Rossa Italiana, alti funzionari dello Stato e perfino deputati del Parlamento (a Pescosolido ne arrivarono tre) raggiunsero le zone disastrate e si misero a soccorrere i sopravvissuti, ad estrarre morti e feriti dalle macerie, a costruire baracche e casette asismiche, a puntellare gli edifici pericolanti e a demolire quelli irrecuperabili… La macchina dei soccorsi, una volta avviata, funzionava egregiamente. Tanto che, dopo appena qualche mese, ad ogni famiglia fu dato un ricovero, magari piccolo e scomodo poiché composto da uno o al massimo da due vani, ma quanto mai utile per parare in qualche modo il freddo e l’umidità. Si trattava di baracche in legno o di casette asismiche in muratura. Ma qua e là comparvero anche delle bellissime case economiche a più piani e con più appartamentini, ciascuno dei quali comprendeva una cucina, un bagno, una o due camere e perfino un ripostiglio (le prime a Sora furono costruite a Vadocavallo e al bivio per Carnello). Era iniziata la ricostruzione, insomma, e proseguiva alacremente. Ma siccome era iniziata anche la Prima Guerra Mondiale, bisognò interrompere ogni attività nelle zone terremotate. E se ne andarono tutti, giovani e meno giovani. Andarono al fronte, a combattere per la Patria. Per molti non ci fu un ritorno a casa. “Chi per la patria muor, vissuto è assai” esclamò un tizio (che probabilmente non aveva una madre o una sorella o un fratellino piccolo a cui pensare). Ottavio Cicchinelli

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