Analisi esegetica del calascione ciociaro

Calascione Ciociaro

Calascione Ciociaro

 

C’è un legame profondo tra cibo, ingredienti, significato in tutte le culture e religioni, e nel Cristianesimo vi è la massima espressione di questa realtà.

Il calascione, piccolo rustico tradizionale pasquale nel meridione, appare nell’antica regola benedettina, espressamente come ricetta di quel giorno, i cui dettami dati in modo rigoroso, si soffermano sulla sua forma, la sua preparazione e suoi ingredienti, da assumersi appunto, come colazione la mattina di Pasqua.[1] La parola composta, infatti, viene da mandare giù (“cala” un modo di dire dialettale) e dalla parola a-sciolvere (sciogliere il digiuno, letteralmente fare una piccola refezione. 

Esso dunque, rappresenta un viatico, racchiudendo in sé un condensato di tutti i Misteri Cristiani oggetto di Fede. E’ l’annuncio della Buona Novella, del Vangelo, della Resurrezione ricapitolando in se tutte le profezie del Vecchio Testamento e del Nuovo oltre alle verità ultime, proprio tramite la sua forma ed i suoi ingredienti.

E’ un pane non lievitato – azzimo– a forma di disco ripiegato su se stesso, arrotolandosi sul suo contenuto, in modo che rappresenti una mezza luna, che si mangia accompagnato da vino rosso: entrambi elementi eucaristici.

Questo ricorda quante volte i pani appaiano nelle Sacre Scritture e nel Vangelo. I Pani Sacri dell’offerta, custoditi nel Tempio; gli stessi Pani Sacri, che solo il Sacerdote poteva mangiare, gli stessi mangiati da Davide per sfamarsi con i suoi compagni proprio nel Tempio; i pani con cui gli angeli rifocillano il Profeta Isaia e Gesù dopo le tentazioni nel deserto. Il Pane ed il Vino nell’Eucarestia.

Il valore di cibo con valenza rafforzativa profetica e dottrinale di chi lo mangiava, nel piccolo rotolo che è il calascione, è rinforzato dai rimandi biblici in cui compare questa simbologia:

  • Richiamando la vocazione profetica di Ezechiele (Ez 2,8 ss.) Dio gli dice: “<< E tu, figlio d’uomo, ascolta ciò che dico a te: non essere ribelle come questa razza di caparbi. Apri la bocca e mangia ciò che ti do>>. Io guardai, ed ecco, stava stesa verso di me una mano che teneva un libro in rotolo. Essa lo spiegò dinanzi a me: era scritto dentro e fuori, e v’erano scritte lamentazioni, gemiti e guai. E mi disse << Figlio d’uomo, ciò che ti è presentato mangialo: mangia questo libro, poi và e parla alla casa di Israele>> Io apersi la bocca ed egli mi fece inghiottire quel rotolo dicendomi: << Figlio d’uomo, nutriti e saziati di questo volume che io ti porgo>>. Io lo mangiai ed in bocca mi fu dolce come il miele.”

  • Anche nell’Apocalisse Giovanni durante la visione delle realtà ultime vide un angelo: “Egli aveva in mano un piccolo libro aperto” e “Poi la voce udita dal cielo di nuovo mi parlò e disse: <<Prendilo e divoralo; ti riempirà d’amarezza le viscere, ma in bocca ti sarà dolce come il miele” “<<E’ necessario che tu profetizzi ancora riguardo a molti popoli, nazioni, lingue e re>>. (Ap 10,6). Qui si precisa la missione di Giovanni e della Chiesa: chiamati a portare un annunzio qualitativamente “dolce”, importante per la vita ma anche segnato da sofferenze e persecuzioni. (Il sapore del calascione è infatti particolare, appare salato e piccante al primo morso, ma ha un sapore di ritorno quasi dolce e penetrante)

Passiamo alla simbologia degli ingredienti di questo piccolo rotolo pasquale:

  • Uovo: E’ il simbolo della Pasqua per eccellenza, perché rappresenta il Cristo risorto, sia come nascita dell’Uomo Nuovo al posto di Adamo, ma anche di Resurrezione: il guscio rotto è il sepolcro dove riposava il Germe della Vita. E’ il Principio di tutto e il Cristo con la sua Morte e la sua Resurrezione è l’inizio della redenzione.

  • Pecorino: E’ fatto con latte di pecora con quaglio e sale.  E’ l’elemento indirettamente evocativo dell’Agnello immolato, tolto alla madre, che è diventato cibo di Vita con l’Eucarestia. Ma l’agnella, orba del figlio, dona il suo latte “quagliato” dall’opera di corredenzione assieme al Cristo, simboleggia Maria e la nascita della Chiesa che nutre, attraverso la coppia del Nuovo Adamo e della Nuova Eva, l’Umanità. E’ simbolo sia Cristologico che Marialogico che da sapore, attraverso il sale, alla Terra.

  • Pepe: Spezia preziosa e rara, con proprietà medicamentose, purificatrici infiamma la bocca e le viscere. La sua funzione nel calascione appare legata a ciò che accade al Profeta Isaia, durante una visione della Gloria di Dio. Dio stesso prima gli invia un Serafino, a purificargli le labbra con un tizzone ardente, in quanto peccatore, per renderla degna di fare il suo Annuncio. Solo dopo questa cauterizzazione, gli affiderà la missione di raccontarla con autorità, per essere un messaggero della Parola di Dio, e per far ricordare ad Israele il Patto di Alleanza con Lui. “E volò verso di me uno dei Serafini che aveva in mano un carbone ardente tolto dall’altare con le molle: Egli mi toccò con esso la bocca e disse <<Ecco, ho toccato le tue labbra: la tua colpa è tolta, il peccato è perdonato>>” (Is 6,6-7) ma allo stesso tempo il pepe ha proprietà eccitanti, e rimanda all’azione dello Spirito Santo, il Consolatore, disceso ad “infiammare purificando” i discepoli ancor prima della Pentecoste, ma subito dopo la scoperta del sepolcro vuoto.

Quindi il calascione appare essere quel cibo di rinforzo per gli apostoli e i credenti di tutti i tempi, il giorno della Risurrezione, il viatico profetico per il cammino dell’evangelizzazione, è testimonianza, è attestazione di tutto Il Vecchio e Nuovo Testamento, racchiusi nel suo ripieno.

Il calascione veniva donato per tradizione e non a caso, a Pasqua sia all’ospite, ma soprattutto ai sacerdoti, da tradizione monastica perché mangiassero, si nutrissero e profetizzassero l’Annuncio della Nascita, Morte e Resurrezione del Cristo promesso sin dalla Genesi, attraverso la Vergine Maria. Infatti, la forma a mezzaluna, tanto raccomandata nella sua esecuzione, è legata proprio al simbolo della Vergine Immacolata, sempre rappresentata vestita di sole con la mezza luna sotto i piedi, come vittoria sulle tenebre. Senza il suo “Sì!”, non ci sarebbe stata alcuna Redenzione. Il Cristo immolato, morto e risorto non avrebbe mai vinto la Morte.   

                                                                                                          Maria Antonietta Rea



[1] Ricetta dell’annotamento del cibario concesso alle monache del monastero di Santa Chiara (1813-1888) e ricetta di Giseltruda riportata nella cronaca di Alberico da Monte Cassino (1071-1080)

 

C’è un legame profondo tra cibo, ingredienti, significato in tutte le culture e religioni, e nel Cristianesimo vi è la massima espressione di questa realtà.

Il calascione, piccolo rustico tradizionale pasquale nel meridione, appare nell’antica regola benedettina, espressamente come ricetta di quel giorno, i cui dettami dati in modo rigoroso, si soffermano sulla sua forma, la sua preparazione e suoi ingredienti, da assumersi appunto, come colazione la mattina di Pasqua.[1] La parola composta, infatti, viene da mandare giù (“cala” un modo di dire dialettale) e dalla parola a-sciolvere (sciogliere il digiuno, letteralmente fare una piccola refezione. 

Esso dunque, rappresenta un viatico, racchiudendo in sé un condensato di tutti i Misteri Cristiani oggetto di Fede. E’ l’annuncio della Buona Novella, del Vangelo, della Resurrezione ricapitolando in se tutte le profezie del Vecchio Testamento e del Nuovo oltre alle verità ultime, proprio tramite la sua forma ed i suoi ingredienti.

E’ un pane non lievitato – azzimo– a forma di disco ripiegato su se stesso, arrotolandosi sul suo contenuto, in modo che rappresenti una mezza luna, che si mangia accompagnato da vino rosso: entrambi elementi eucaristici.

Questo ricorda quante volte i pani appaiano nelle Sacre Scritture e nel Vangelo. I Pani Sacri dell’offerta, custoditi nel Tempio; gli stessi Pani Sacri, che solo il Sacerdote poteva mangiare, gli stessi mangiati da Davide per sfamarsi con i suoi compagni proprio nel Tempio; i pani con cui gli angeli rifocillano il Profeta Isaia e Gesù dopo le tentazioni nel deserto. Il Pane ed il Vino nell’Eucarestia.

Il valore di cibo con valenza rafforzativa profetica e dottrinale di chi lo mangiava, nel piccolo rotolo che è il calascione, è rinforzato dai rimandi biblici in cui compare questa simbologia:

  • Richiamando la vocazione profetica di Ezechiele (Ez 2,8 ss.) Dio gli dice: “<< E tu, figlio d’uomo, ascolta ciò che dico a te: non essere ribelle come questa razza di caparbi. Apri la bocca e mangia ciò che ti do>>. Io guardai, ed ecco, stava stesa verso di me una mano che teneva un libro in rotolo. Essa lo spiegò dinanzi a me: era scritto dentro e fuori, e v’erano scritte lamentazioni, gemiti e guai. E mi disse << Figlio d’uomo, ciò che ti è presentato mangialo: mangia questo libro, poi và e parla alla casa di Israele>> Io apersi la bocca ed egli mi fece inghiottire quel rotolo dicendomi: << Figlio d’uomo, nutriti e saziati di questo volume che io ti porgo>>. Io lo mangiai ed in bocca mi fu dolce come il miele.”

  • Anche nell’Apocalisse Giovanni durante la visione delle realtà ultime vide un angelo: “Egli aveva in mano un piccolo libro aperto” e “Poi la voce udita dal cielo di nuovo mi parlò e disse: <<Prendilo e divoralo; ti riempirà d’amarezza le viscere, ma in bocca ti sarà dolce come il miele” “<<E’ necessario che tu profetizzi ancora riguardo a molti popoli, nazioni, lingue e re>>. (Ap 10,6). Qui si precisa la missione di Giovanni e della Chiesa: chiamati a portare un annunzio qualitativamente “dolce”, importante per la vita ma anche segnato da sofferenze e persecuzioni. (Il sapore del calascione è infatti particolare, appare salato e piccante al primo morso, ma ha un sapore di ritorno quasi dolce e penetrante)

Passiamo alla simbologia degli ingredienti di questo piccolo rotolo pasquale:

  • Uovo: E’ il simbolo della Pasqua per eccellenza, perché rappresenta il Cristo risorto, sia come nascita dell’Uomo Nuovo al posto di Adamo, ma anche di Resurrezione: il guscio rotto è il sepolcro dove riposava il Germe della Vita. E’ il Principio di tutto e il Cristo con la sua Morte e la sua Resurrezione è l’inizio della redenzione.

  • Pecorino: E’ fatto con latte di pecora con quaglio e sale.  E’ l’elemento indirettamente evocativo dell’Agnello immolato, tolto alla madre, che è diventato cibo di Vita con l’Eucarestia. Ma l’agnella, orba del figlio, dona il suo latte “quagliato” dall’opera di corredenzione assieme al Cristo, simboleggia Maria e la nascita della Chiesa che nutre, attraverso la coppia del Nuovo Adamo e della Nuova Eva, l’Umanità. E’ simbolo sia Cristologico che Marialogico che da sapore, attraverso il sale, alla Terra.

  • Pepe: Spezia preziosa e rara, con proprietà medicamentose, purificatrici infiamma la bocca e le viscere. La sua funzione nel calascione appare legata a ciò che accade al Profeta Isaia, durante una visione della Gloria di Dio. Dio stesso prima gli invia un Serafino, a purificargli le labbra con un tizzone ardente, in quanto peccatore, per renderla degna di fare il suo Annuncio. Solo dopo questa cauterizzazione, gli affiderà la missione di raccontarla con autorità, per essere un messaggero della Parola di Dio, e per far ricordare ad Israele il Patto di Alleanza con Lui. “E volò verso di me uno dei Serafini che aveva in mano un carbone ardente tolto dall’altare con le molle: Egli mi toccò con esso la bocca e disse <<Ecco, ho toccato le tue labbra: la tua colpa è tolta, il peccato è perdonato>>” (Is 6,6-7) ma allo stesso tempo il pepe ha proprietà eccitanti, e rimanda all’azione dello Spirito Santo, il Consolatore, disceso ad “infiammare purificando” i discepoli ancor prima della Pentecoste, ma subito dopo la scoperta del sepolcro vuoto.

Quindi il calascione appare essere quel cibo di rinforzo per gli apostoli e i credenti di tutti i tempi, il giorno della Risurrezione, il viatico profetico per il cammino dell’evangelizzazione, è testimonianza, è attestazione di tutto Il Vecchio e Nuovo Testamento, racchiusi nel suo ripieno.

Il calascione veniva donato per tradizione e non a caso, a Pasqua sia all’ospite, ma soprattutto ai sacerdoti, da tradizione monastica perché mangiassero, si nutrissero e profetizzassero l’Annuncio della Nascita, Morte e Resurrezione del Cristo promesso sin dalla Genesi, attraverso la Vergine Maria. Infatti, la forma a mezzaluna, tanto raccomandata nella sua esecuzione, è legata proprio al simbolo della Vergine Immacolata, sempre rappresentata vestita di sole con la mezza luna sotto i piedi, come vittoria sulle tenebre. Senza il suo “Sì!”, non ci sarebbe stata alcuna Redenzione. Il Cristo immolato, morto e risorto non avrebbe mai vinto la Morte.   

                                                                                                          Maria Antonietta Rea



[1] Ricetta dell’annotamento del cibario concesso alle monache del monastero di Santa Chiara (1813-1888) e ricetta di Giseltruda riportata nella cronaca di Alberico da Monte Cassino (1071-1080)

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