Page 8 - Ottobre-17
P. 8

8 - Vita Ciociara On line - Ottobre 2017

Cosette di casa nostra (dedicate ai confratelli in S. Uberto)

La caccia nelle nostre zone
    tra il 1500 ed il 1700

L’uomo ha sempre praticato la caccia, dal            volta l’afferrava, se l’andava a man-         Il falconiere (con aquila) - Foto tratta da
tempo dei tempi, utilizzando strumenti di-           giare lontano, nel folto di un bo-          Diana Rivista del Cacciatore nr.18 del 1987
versi: le mani, le pietre, il bastone, la lancia,    schetto o sulla cima di un albero,
l’arco, la balestra, il laccio, la rete, il falcone  rimanendo sordo ai richiami del pa-        e dirupi, monti elevati, selve estese... Nulla
e infine l’archibugio (così chiamato poiché          drone, il quale, per recuperarlo, do-      mancava per rendere la vita comoda a orsi,
somigliava ad un arco ed era munito di una           veva aspettarne il ritorno per ore ed      cinghiali, caprioli, camosci, lepri, coturnici e
canna dal cui “buco” uscivano proiettili per         a volte per giorni interi (cioè fino a     starme (in tutto l’arco dell’anno), a colom-
colpire i selvatici).                                che il rapace non avesse digerito la       bacci, tortore, quaglie, rigogoli e avelle (nel
Con l’archibugio, la caccia mutò radical-            preda e sentisse nuovamente la             periodo estivo), a tordi, cesene, merli, “foli-
mente. Ma bisognò attendere un paio di se-           fame).                                     ghe”, “mallardi”, beccacce e beccaccini
coli, prima che quel marchingegno si                 Lo schioppo sembrava il più adatto         (nella fredda stagione). E chi praticava la
perfezionasse a dovere e divenisse lo stru-          per andare a caccia: potente, ma-          caccia, non aveva che da uscire appena
mento-principe per la caccia. Nel frattempo          neggevole e capace di colpire un           fuori dell’abitato per ritrovarsi in una specie
ognuno si arrangiò come poté: alcuni conti-          selvatico anche a distanza note-           di èden venatorio.
nuarono ad usare i vecchi mezzi di offesa            vole. Ed era pure bello a vedersi,         L’unico inconveniente era che quei selvatici
(arco, balestra, reti ecc.), altri si converti-      specialmente se rifinito nei minimi        se la scampavano quasi sempre, poiché i
rono allo schioppo, sebbene questo fosse             particolari e impreziosito magari          mezzi di offesa erano poco efficaci. Ma
poco affidabile. E comunque erano tre i              con “arabeschi damascati” (i co-           l’uomo, a cui l’ingegno non fa difetto, trovò
mezzi di offesa più usati in quel periodo di         struttori, non riuscendo a migliorare      subito il rimedio: non potendo migliorare gli
transizione, che va dal 1500 al 1700: la ba-         la tecnica, puntavano sull’appa-           strumenti di offesa (per ora), agì sui selva-
lestra, il falcone e lo schioppo.                    renza, specialmente quando l’arma          tici inducendoli a rallentare la corsa o addi-
La balestra, potente e micidiale, veniva             era destinata a qualche nobile da-         rittura a fermarsi, in modo da poterli mirare
usata per la caccia ai grossi selvatici (orsi,       migella). Lo schioppo dava anche           con più calma e colpire con maggior preci-
cinghiali, cervi); ma era poco precisa, spe-         un tocco di classe a chi lo portava;       sione.
cialmente quando il bersaglio era in movi-           ma sul piano pratico non è che             Nella scena venatoria allora comparve il
mento.                                               desse risultati apprezzabili. Infatti      cane da ferma, che cominciò a fare sfoggio
Il falcone (che si poteva acquistare ad              andava a vuoto tre volte su quattro.       della sua abilità: correndo in lungo e in
Atina, dove se ne allevavano e addestra-             Per farlo sparare, bisognava com-          largo, individuava il selvatico e lo bloccava
vano in gran “copia”, stando a quanto riferi-        piere diverse operazioni: caricare la      con una “ferma statuaria”, permettendo al
sce uno scrittore del tempo) veniva usato            canna (infilandole anteriormente la        cacciatore di avvicinarsi e piazzare il colpo
per la caccia ai piccoli selvatici (starne, tor-     polvere, la stoppa, i proiettili ed        con tutta calma.
tore, quaglie, merli, tordi, allodole): inse-        altra stoppa, aiutandosi con una           E nella caccia al cinghiale si ricorse ad una
guiva e picchiava in velocità; ma quasi mai          bacchetta); mettere la polvere nel         strategia particolarissima. Individuato il
riusciva ad afferrare la preda e, se qualche         “focone” (dietro la “culatta”) e ac-       branco, lo si accerchiava con “parate di ro-
                                                     cenderla con una miccia (o con una
                                                     scintilla prodotta dalla “pietra fo-
                                                     caia”); aspettare che la fiamma si
                                                     propagasse, attraverso un cana-
                                                     letto, nella camera da scoppio e, un
                                                     attimo prima della deflagrazione,
                                                     puntare l’arma sul selvatico. Il
                                                     quale nel frattempo s’era allonta-
                                                     nato e sottratto alla vista.
                                                     Il carniere in definitiva, o balestra o
                                                     falcone o schioppo che fosse, ri-
                                                     maneva quasi sempre vuoto. Però
                                                     la selvaggina abbondava. Ce n’era
                                                     tanta che si potevano fare “incontri”
                                                     a ripetizione, sicché, a forza di fare
                                                     incontri, prima o poi qualche capo
                                                     finiva nel carniere, rimediando, al-
                                                     meno in parte, alle infinite “padelle”.
                                                     L’habitat, del resto, era ideale: pia-
                                                     nure, prati, campi coltivati, sorgenti
                                                     e corsi d’acqua, ripe erbose, colline
                                                     digradanti, boschetti ombreggiati,
                                                     valli e vallette apriche, anfratti, forre
   3   4   5   6   7   8   9   10   11   12   13